mezzanotte

Mi piacerebbe vivere qui

Cambio idea anche su questo.

La fissazione con i luoghi

Non riesco a smettere di fantasticare sui posti dove potrei scappare. Questa ossessione è iniziata tre anni fa, quando ho capito che qui sto marcendo viva. Prima era solo una fantasia della domenica sera, ora è diventata una dipendenza vera e propria.

L'Oregon è stato il mio primo grande amore impossibile. Avevo visto quel film, "Wild", e boom. Volevo perdermi in quelle foreste di abeti giganti, respirare quell'aria umida che sa di muschio e libertà. Mi immaginavo in una baita sperduta verso Crater Lake, con la neve che arriva a gennaio e non se ne va più fino ad aprile. Nessun vicino nel raggio di chilometri, solo il rumore del vento tra gli alberi e il mio respiro che fa vapore al mattino.

Poi è arrivata la fase Shanghai. Durata otto mesi filati. Guardavo i video di quei grattacieli che spuntano dalla nebbia come astronavi, i mercati notturni dove la gente mangia cose che non so nemmeno pronunciare. Volevo essere travolta da quel caos, perdermi tra milioni di persone che non mi conoscevano. Avevo perfino scaricato un'app per imparare il mandarino, giuro. Due settimane e ho mollato, ovviamente.

Ma le isole greche, quelle sono state diverse. Tre anni di ossessione pura. Santorini con quelle case bianche che brillano al sole, Mykonos con i mulini a vento che sembrano usciti da una favola, Naxos con le spiagge infinite dove puoi camminare per ore senza incontrare anima viva. Mi ero pure iscritta a un corso di greco al centro culturale. "Kalimera, pos iste?" - lo dicevo davanti allo specchio come una scema.

Sognavo di aprire una piccola taverna a Paros, una di quelle con i tavoli di legno grezzo e le tovaglie a quadretti azzurri. Pesce fresco ogni giorno, vino che sa di sole, clienti che diventano amici e ti raccontano la loro vita mentre il mare fa rumore in sottofondo. La sera chiudi, ti siedi sulla spiaggia con un bicchiere di ouzo e guardi le stelle che sono così vicine che sembri di poterle toccare.

Adesso è tutta un'altra storia. Adesso voglio la Normandia. E non so nemmeno come sia successo. Forse perché sono stanca di sognare posti da cartolina. La Normandia è vera, è cruda, è onesta come un pugno nello stomaco.

Mi vedo in una di quelle fattorie di pietra a Bayeux, con le travi del soffitto nere di secoli e il caminetto che scoppietta anche a luglio. Un giardino selvaggio pieno di ortensie blu e mele che cadono dagli alberi e nessuno le raccoglie. Il mercato di Caen la mattina presto, con i formaggi che puzzano in modo meraviglioso e il pane ancora caldo che ti brucia le dita.

E poi le scogliere di Étretat. Quelle rocce bianche che si tuffano nel mare con una violenza che ti mozza il fiato. Puoi stare lì ore a guardare le onde che si schiantano, il vento che ti scompiglia i capelli, e finalmente non dover fingere di stare bene. Il grigio del cielo, il verde dei prati, il bianco della schiuma: colori veri per sentimenti veri.

Penso alle passeggiate sulla spiaggia di Omaha Beach, dove la storia ti entra nelle ossa e capisci quanto sia piccola la tua crisi esistenziale. Penso ai mercatini dell'antiquariato di Honfleur, a quel porto pittoresco dove i pittori impressionisti hanno inventato la luce moderna. Potrei comprare una casa fatiscente, sistemarla con le mie mani, piano piano, senza fretta.

Non ci andrò mai, lo so. È solo un altro modo per non affrontare la realtà. Ma intanto il sogno mi tiene compagnia quando tutto il resto fa schifo. E forse, chissà, un giorno avrò il coraggio di comprare quel biglietto di sola andata. Forse.