mezzanotte

Confesso che...

Non riesco a non essere così.

Marco e gli altri

Ci sono cose di me che non racconto mai. Non per pudore, ma perché la gente non capirebbe. O forse capirebbe troppo bene e quello mi fa paura.

La mia voce, per esempio. Ho sempre saputo che era diversa, ma non immaginavo quanto potesse essere... pericolosa. L'ho scoperto per caso una sera di tre anni fa, quando ero ancora alla radio. Stavo leggendo le previsioni del tempo, roba normale, e questo ascoltatore ha chiamato. Non per il meteo, ovviamente.

"Continui a parlare," mi ha detto. "Non importa di cosa. Voglio solo sentirti." C'era qualcosa nella sua voce che mi ha fatto capire. Non era il contenuto delle mie parole che lo interessava. Era il modo in cui le dicevo, il ritmo, le pause che facevo senza accorgermene.

Da quella sera ho iniziato a fare caso a come reagiva la gente quando parlavo. Il barista che si perdeva a guardarmi mentre ordinavo il caffè. Il meccanico che si dimenticava di farmi pagare quando andavo a ritirare la macchina. Piccole cose, ma tutte collegate al suono della mia voce.

E poi è arrivato Marco. Sposato, naturalmente. Perché io ho un talento speciale per complicarmi la vita. L'ho conosciuto a una cena di lavoro, uno di quegli eventi noiosi dove tutti fingono di divertirsi. Lui seduto dall'altra parte del tavolo, che mi guardava mentre raccontavo una storia qualunque.

"Hai una voce che fa venire voglia di ascoltarti per ore," mi ha detto alla fine della serata. Non era una battuta da rimorchio. Era una constatazione, detta con la stessa naturalezza con cui avresti detto "oggi piove".

Il weekend che abbiamo passato insieme è stato... diverso da tutto quello che conoscevo. Non parlo di sesso, parlo di qualcosa di più sottile. Marco mi ascoltava respirare come se fosse musica. Mi faceva raccontare i miei sogni, le mie paure, le cose più banali della mia giornata, e io sentivo che ogni parola che usciva dalla mia bocca lo toccava in un modo che non riuscivo a spiegarmi.

"Dimmi come ti senti," mi sussurrava al buio. E io gli raccontavo di quella sensazione strana che avevo nello stomaco, di come il silenzio della stanza mi faceva sentire esposta e al sicuro allo stesso tempo. Le mie parole diventavano carezze, i miei silenzi promesse.

Quella domenica mattina, mentre preparavo il caffè nella sua cucina, mi ha detto una cosa che non dimenticherò mai: "Non so cosa hai nella voce, ma quando parli è come se mi toccassi senza muovere le mani." Era poetry erotica detta da un ingegnere di quarantacinque anni. Assurdo e perfetto insieme.

È durata tre mesi. Poi la colpa ha vinto, come sempre succede con gli uomini sposati. Ma quello che ho imparato su me stessa non me lo leverà nessuno. Ho scoperto che la mia voce non è solo uno strumento per comunicare. È una parte di me che può toccare gli altri in modi che nemmeno immaginavo.

Adesso, quando parlo al telefono erotico con sconosciuti che cercano... compagnia, so esattamente cosa sto facendo. Non è solo una questione di soldi. È il potere di essere desiderata per qualcosa che è davvero mio, autenticamente mio. La mia voce, le mie parole, il modo in cui so usare i silenzi.

È sbagliato? Probabilmente. Me ne frega qualcosa? A quarant'anni ho smesso di chiedere il permesso per essere quella che sono.